Percorso nel museo

Museo Agorà Orsi Coppini

L’OLIO: STORIA E SISTEMI DI PRODUZIONE MECCANICI

SPAZIO AMÈRICO

Frantoio a due macelli (pietre molari) con gramola - dosatore

Il frantoio, di forma cilindrica, è costituito da due macine in granito ruotanti in senso verticale sopra un fondello orizzontale in pietra dura. La vasca presenta un orlo in lamiera di ferro su cui vi è un’apertura diretta a sportello con scivolo da dove scende la pasta verso la gramola. Poggia su tre pilastri, sotto i quali è posizionata la ruota dentata del meccanismo azionato con motore elettrico posizionato accanto. La gramola, posta sul lato della vasca, è collegata esternamente nella parte inferiore dove è posto il dosatore. Il frantoio è stato realizzato dalle Officine Meccaniche Toscane nel 1950 circa, mentre la gramola-dosatore dalla Ditta Fonderie – Officine Camplone S.p.a. Pescara tra il 1950 e 1960.

 

Torchio o pressa idraulica

Dai torchi a vite si passa ai torchi idraulici o presse per fiscoli di potenzialità diverse che venivano azionati da pompe. Costruite in metallo e alimentate da energia idraulica ed elettrica, si ottenevano pressioni elevate con piccolo sforzo. Le presse sono composte in basso da una base (su cui poggia un cilindro con un pistone che svolge un movimento ascensionale quando riceve la spinta), costituita dal pistone che svolge un movimento ascensionale quando riceve la spinta, retto nella sua parte sottostante da un cilindro. Queste macchine erano presenti di solito in batteria (minimo di tre); tra loro vi è un manometro con il quale gli addetti vigilavano sul livello di pressione raggiunta. Le presse erano collegate ad una pompa idraulica tramite un tubo, detto “di comunicazione”. Erano accessoriate da speciali carrelli a quattro ruote, ed erano costituiti da una base circolare e un’asse cilindrico centrale sul quale venivano disposti i fiscoli, per incolonnarli sotto. La pressa è stata realizzata nel 1963 dalle Officine e Fonderie Meccaniche G. Camplone & Figli Pescara.

 

Torchio in ferro

Nei primi lustri dell’Ottocento compaiono i primi torchi o “strettoj a vite” di ferro che affiancano, e in parte sostituiscono, quelli tradizionali di legno. I torchi erano con movimento “a leva semplice” (a stanga), con movimento “a cricco” e “a leva multipla” ed erano costituiti da tre o quattro colonne. Essi erano composti da una base per la spremitura su cui poggiavano i fiscoli, da una madrevite, da una vite, con annesso alloggiamento per inserire la stanca per la spremitura, e da un pancone sotto il quale venivano incolonnati i fiscoli. Il torchio “Strettojo a cerchioni Sistema OOMENS” era azionato con movimento “a cricco” ed era stato costruito nello Stabilimento Fonderia di ferro e Opificio meccanico Luigi Oomens di Napoli nel 1882.

 

Torchio o pressa idraulica a quattro colonne

La pressa è del tipo “a torre aperta (o libera)”; essa presenta, in basso, una base dove (al di sotto) è posizionato un pistone che svolge un movimento ascensionale quando riceve la spinta, retto nella sua parte sottostante da un cilindro. La pressa è costituita da quattro colonne (o traverse) che collegano la base alla testata dove solitamente vi è impresso il nome della ditta costruttrice. Accanto alle colonne era posto il manometro per monitorare la pressione. Il modello di pressa “a torre aperta”, presente sul mercato già a partire dai primi decenni del Novecento, fu un modello di macchina che la Veraci di Firenze, la Camplone di Pescara e altre note Ditte costruttrici di macchine olearie, hanno costruito e venduto per decenni.

 

Pompa idraulica

La pompa che aziona le presse può essere a uno o più corpi. Essa è costituita da stantuffi o pistoni che ricevono e trasmettono la spinta del fluido contenuto. La pompa idraulica era azionata da un motore il quale sollevava i pistoni; si apriva così una valvola, che permetteva all’acqua di introdursi dal serbatoio nel cuore della pompa. I pistoni poi si abbassavano, si chiudeva la valvola e se ne apriva un’altra, che consentiva all’acqua di passare per il tubo di comunicazione, che collegava la pompa con le presse. L’acqua portata ad ogni singola pressa tramite il tubo, s’introduceva nel cilindro sottostante e spingeva il pistone per esercitare la pressione. Su ogni corpo vi è una leva la cui rotazione permette di sospendere a piacere il pompaggio dell’acqua (alta e bassa pressione) prima che i loro rispettivi valori siano stati raggiunti. La pompa esposta è stata realizzata dalla Ditta Società Veraci Officine Meccaniche e Fonderie Firenze.

 

Separatore centrifugo Veraci

L’introduzione del separatore meccanico risale ai primi decenni del Novecento e sostituì il piattino in terracotta. Con questi apparecchi la separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione avveniva in modo totale. Dopo la pressatura il liquido (olio e acqua) veniva introdotto nella macchina per essere separato in modo rapido dall’acqua di vegetazione; questo permetteva di avere una buona qualità dell’olio. Costituito da una centrifuga, un asse per la centrifugazione e da un motore nella parte sottostante, la macchina è stata realizzata dalla Società Veraci Officine Meccaniche e Fonderie Firenze.

 

Separatore centrifugo Camplone

Il separatore autonomo Beta è stato realizzato dalla Ditta Fonderie – Officine Camplone S.p.a. Pescara nel 1960 circa. Esso, costituito da una centrifuga era alimentato da un motore elettrico posto sulla parte posteriore del lato sinistro della macchina. Separava meccanicamente l’olio dall’acqua di vegetazione contribuendo così a dare un’ottima qualità del prodotto.

Museo d'arte olearia, particolare

SPAZIO ANITA

Torchio o “strettojo” a una vite del tipo “alla genovese”

Il torchio "alla genovese" era molto diffuso a Genova e in tutta la Liguria, in Toscana e in altre città dell'Italia settentrionale; fu introdotto nell'Italia meridionale nel 1768 ad opera di Domenico Grimaldi che sostituì la pressa a leva (molto usata nell'Italia settentrionale) e il torchio a due viti del tipo "alla calabrese". Lo "strettojo" (tutto in legno quasi sempre di quercia o in legno e ferro) veniva azionato da una sola persona ("a braccia di uomo") che iniziava, con una stanga robusta, a far girare il torchio. Poi, con l'aiuto di un argano verticale, collegato ad una grossa fune, il torchio (con i fiscoli incolonnati) veniva ulteriormente messo sotto pressione. Il torchio presenta, nella parte sottostante, una base (di forma circolare) su cui poggiavano i fiscoli pieni di pasta d'olive. Al di sotto di questa base è posta una pila (di forma rettangolare) in cui si raccoglie l'olio che gocciolava dalla spremitura della pasta d'olive.

 

Pressa a leva e a vite in legno

È descritta con minuzia di particolari da Vittorio Zonca nel noto trattato dal titolo: Novo teatro di machine et edificii, 1607. Già in uso nel mondo antico (descritta da Catone e dal matematico Erone) la pressa, a leva con vite senza fine e contrappeso, perfezionata da Plinio, rappresentò per molti secoli l’unico ordigno oleario usato (nell’Italia centro-settentrionale) per la spremitura. Questo sistema è stato utilizzato in molte aree olivicole (soprattutto in quelle dove l’evoluzione tecnologica è stata molto lenta) sino alla fine del secolo XIX. Sarà definitivamente sostituita dai torchi ad una vite (“alla genovese”) che erano molto più funzionali e meno ingombranti. La leva presenta una base in pietra calcarea dove è ancorata la vite della pressa. L’ordigno oleario è privo di una vasca lapidea (posta nella parte centrale della grossa trave lignea, in corrispondenza dei fiscoli pieni di pasta) di raccolta dell’olio che si lasciava decantare prima di essere preso e conservato nelle giare (o grandi vasi) in terracotta invetriata o in delle pile monolitiche in pietra. 

Torchio al museo d'arte olearia

ANGOLO DI LETTURA

Frantoio a due macelli 

Nel parco naturale che circonda il Museo d’Arte Olearia, c’è uno spazio dedicato a Maria Marta Boldrocchi, collaboratricedella Coppini Arte Oleariamancata nel 2009, dove è possibile soffermarsi ad ammirare un frantoio in pietra a due macelli (pietre molari).

Il frantoio, di forma cilindrica, è costituito da due macine (o molazze) in granito ruotanti in senso verticale con moto di rivoluzione e traslazione sopra un fondello orizzontale della stessa pietra delle macine. L’apparato frangente è limitato da un orlo in lamiera di ferro su cui vi è un’apertura diretta a sportello con scivolo da dove scende la pasta verso la sottostante gramola tutt’ora mancante. Le macine multiple sono disposte sulla pila in modo da non percorrere la stessa pista per allargare la superficie triturante e affrettare la macinazione. La vasca poggia su quattro pilastri in ferro, sotto i quali è posizionata la ruota dentata del meccanismo azionato con motore elettrico (ora mancante) che originariamente era posizionato accanto. Il frantoio è stato realizzato dalla Ditta Officine Meccaniche Toscane tra il 1940 e il 1950 circa.

Parco del Museo dell'olio
Agorà tra gli ulivi

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